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sabato 19 luglio 2014

IL GRANDE EQUIVOCO DELLA CONTINUITÀ EDUCATIVA

La continuità educativa è una locuzione che si sente citare spesso nei discorsi dei politici, dei genitori e  di chi in generale intenda lamentarsi del servizio scolastico, sottolineando il fatto che gli insegnanti e gli educatori cambiano e non c’è garanzia di avere sempre le stesse persone al lavoro con i bambini.  
Giova forse, a questo proposito, riportare la riflessione ai fondamentali, che, a volte per scarsa conoscenza delle teorie pedagogiche e didattiche, altre volte capziosamente e per piegare il dibattito ad altri fini, vengono trascurati e dimenticati.
Avendo intenzione di rivolgermi con questo scritto anche ai cosiddetti “non addetti ai lavori”, avvio le mie considerazioni da una citazione nazional- popolare, se così si può dire, tratta da Wikipedia:
La continuità educativa è un insieme di strategie formative che mirano allo sviluppo armonico della persona, dall'infanzia fino all'età matura, mettendo in comunicazione pedagogica i vari stadi dell'età evolutiva e i corrispondenti progetti formativi elaborati per i singoli cicli scolastici.”
Se proviamo ad analizzare questa definizione, che esprime un concetto ampiamente condiviso dalla letteratura di settore, ci accorgiamo che si parla in primo luogo di “strategie formative”, vale a dire delle modalità e metodologie che si mettono in atto nei percorsi proposti agli studenti. Le strategie formative non dipendono, come a volte ingenuamente si ritiene, dall’indole e dalla predisposizione del docente, ma dalla formazione, dall’aggiornamento, dall’organizzazione delle attività attraverso una programmazione pensata, costruita, valutata e validata.
Si parla poi di “comunicazione pedagogica”, nel senso evidente di passaggio di informazioni e confronto (non uniformità) di pratiche educative tra i vari ordini di scuola e tra i “progetti formativi elaborati per i singoli cicli scolastici”.
Se ne deduce, quindi, che continuità educativa non significa:
  •  Avere lo stesso insegnante o lo stesso educatore per tutto il percorso di studi
  • Fare sempre le stesse cose e con le stesse modalità lungo l’arco della propria formazione

La continuità è ciò che garantisce allo studente un percorso formativo coerente (e non lineare o uniforme, come erroneamente spesso si pensa).  Tutti i testi specialistici che parlano di continuità educativa, a cominciare da Jerome Bruner, non fanno riferimento alla necessità imprescindibile della presenza costante  della stessa persona nel ruolo di educatore, perché la riflessione è appunto sul percorso formativo dello studente.
Possiamo a questo punto chiederci:
Anche se le teorie pedagogiche non lo enunciano espressamente, il mantenimento della stessa figura per un certo numero di anni accanto ad uno studente garantisce la continuità educativa?
La risposta affermativa sembrerebbe scontata. Eppure, se ci fermiamo a riflettere sul fatto che ogni educatore è prima di tutto una persona e come tale cambia ed evolve (per fortuna) nel corso di tutta la sua vita, dobbiamo onestamente affermare che alla domanda bisogna rispondere negativamente.
Ogni persona di scuola con un po’ di esperienza sa che un insegnante non è sempre e comunque un ottimo insegnante, perché le competenze, le doti personali, le vicende della vita privata e tanti altri fattori incidono profondamente in una professione che comporta un aspetto di alto coinvolgimento emotivo.
Un ottimo insegnante di scuola primaria può faticare a gestire positivamente alunni di età differenti; un docente bravissimo in un determinato contesto socio- culturale, può rendere molto meno in contesti diversi; un insegnante preparato e tenace può attraversare periodi che lo rendono fragile e non gli consentono più di lavorare al meglio (il diffuso e preoccupante fenomeno del burn out); un docente eccellente può entrare in contrasto con i colleghi, altrettanto eccellenti, del team o del consiglio di classe e quindi produrre, insieme a loro, un pessimo lavoro. E si potrebbe continuare a lungo con gli esempi.

Poniamo però il caso ideale in cui l’insegnante/educatore sia preparatissimo, abbia una vita personale sempre serena e felice, non soffra mai nel corso della sua carriera di burn out, si trovi in sintonia perfetta con il contesto e con i colleghi: in questa situazione idilliaca, è possibile pensare che la sua figura possa seguire un alunno per tutto il corso della sua formazione?
O forse non si dovrebbe tener conto degli aspetti psicologici dello sviluppo, che portano l’alunno stesso a cambiare e ad aver bisogno del confronto con altre figure?
Chi di noi pensa davvero che l’ottima maestra d’asilo dei nostri figli sarebbe stata per loro l’insegnante ideale di matematica nella scuola media, o di latino al liceo?
E, al di là delle competenze disciplinari, che ovviamente sono diversificate (nessuno può essere un tuttologo), siamo davvero certi che un adolescente abbia bisogno di rapportarsi con gli adulti di riferimento con quelle stesse modalità che utilizzava nell’infanzia?
O non siamo tutti consapevoli che perfino le figure genitoriali, ad un certo punto della vita,  vengono messe in crisi e i rapporti affettivi devono essere ridefiniti, consentendo al bambino che cresce (e spesso per i genitori non è facile) di rendersi progressivamente autonomo sotto vari aspetti, compreso quello affettivo e relazionale?
Questo significa che mantenere lo stesso insegnante/educatore nel corso dei cinque anni della scuola primaria, tanto per fare un esempio, è negativo? Certamente no (sempre che il rapporto dell’insegnante con l’alunno e con la famiglia sia buono), ma non può neppure essere considerato come garanzia, anzi spesso come unica ed imprescindibile garanzia, di un percorso formativo valido e soddisfacente.

Tutto questo è vero, se si ha il coraggio di riflettere su questo argomento ponendosi realmente dal punto di vista degli alunni, di non confondere il concetto di “continuità educativa” con quello di “continuità lavorativa” di chi opera nella scuola e di non usarlo come un ansiolitico per genitori troppo apprensivi.

Non voglio dire con questo che la “continuità lavorativa” non debba essere ritenuta un valore: personalmente sono una sostenitrice del lavoro a tempo indeterminato e il concetto di flessibilità lavorativa mi procura un certo fastidio.
Tuttavia, sarebbe opportuno mostrare l’onestà intellettuale necessaria per non confondere i due concetti di continuità, che si fondano su presupposti differenti.
In soldoni, se un insegnante o un educatore vuole difendere il proprio posto di lavoro, è bene che lo difenda come tale, senza nascondersi dietro bisogni educativi, veri o presunti, dei poveri bambini in procinto di essere abbandonati. 

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