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sabato 4 giugno 2011

Davanti a San Guido - Giosuè Carducci

  • Da anni non leggevo Carducci e non lo raccontavo ai miei studenti. Ma questa mattina mi è tornata in mente questa lirica che avevo studiato a memori tanto tempo fa e, potenza del web, l'ho trovata in pochi secondi e me la sono riletta. 
    Certo, il linguaggio ci sembra oggi un po' datato, ma liberandoci dei pregiudizi modernisti, che forse ci derivano da troppa superficiale pratica dell'ermetismo e da poca reale conoscenza della poesia, possiamo sentire in questi versi l'espressione di un'immagine e di sentimenti particolarmente moderni.
    Carducci è l'uomo che corre, un po' come facciamo noi tutti oggi, verso cosa o verso dove non importa. E dal treno, per un attimo, è preso dal richiamo del tempo passato. E' l'occasione per interrogarsi sul senso della vita: ai cipressi che lo chiamano, come sfortunate sirene, oppone l'obiezione della tronfia cultura, della popolarità, degli impegni dell'uomo adulto. Ma i saggi cipressi gli ricordano che l'essenza della vita sta nella semplicità. Dopo tante dotte citazioni, esplicite ed implicite, lungo tutto il testo, il poeta chiude con l'immagine della nonna che racconta una fiaba e rappresenta la vera saggezza, il senso profondo della vita, alla quale lui ormai non può più attingere. E dopo questo lungo momento di dolente rimpianto, il poeta viene trascinato via dal treno nell'incessante viaggio della vita. Ecco qua il testo integrale della poesia:

    I cipressi che a Bólgheri alti e schietti
     Van da San Guido in duplice filar,
    Quasi in corsa giganti giovinetti 
    Mi balzarono incontro e mi guardar. 
    Mi riconobbero, e— Ben torni omai —
    Bisbigliaron vèr' me co 'l capo chino — 
    Perché non scendi ? Perché non ristai ? 
    Fresca è la sera e a te noto il cammino. 
    Oh sièditi a le nostre ombre odorate
    Ove soffia dal mare il maestrale:
    Ira non ti serbiam de le sassate
    Tue d'una volta: oh non facean già male! 
    Nidi portiamo ancor di rusignoli:
    Deh perché fuggi rapido cosí ? 
    Le passere la sera intreccian voli
    A noi d'intorno ancora. Oh resta qui! — 
    — Bei cipressetti, cipressetti miei,
    Fedeli amici d'un tempo migliore,
    Oh di che cuor con voi mi resterei—
    Guardando lor rispondeva — oh di che cuore ! 
    Ma, cipressetti miei, lasciatem'ire:
    Or non è piú quel tempo e quell'età.
    Se voi sapeste!... via, non fo per dire,
    Ma oggi sono una celebrità. 
    E so legger di greco e di latino,
    E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtú:
    Non son piú, cipressetti, un birichino,
    E sassi in specie non ne tiro piú. 
    E massime a le piante. — Un mormorio
    Pe' dubitanti vertici ondeggiò
    E il dí cadente con un ghigno pio
    Tra i verdi cupi roseo brillò. 
    Intesi allora che i cipressi e il sole
    Una gentil pietade avean di me,
    E presto il mormorio si fe' parole:
    — Ben lo sappiamo: un pover uom tu se'. 
    Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse
    Che rapisce de gli uomini i sospir,
    Come dentro al tuo petto eterne risse
    Ardon che tu né sai né puoi lenir. 
    A le querce ed a noi qui puoi contare
    L'umana tua tristezza e il vostro duol.
    Vedi come pacato e azzurro è il mare,
    Come ridente a lui discende il sol! 
    E come questo occaso è pien di voli,
    Com'è allegro de' passeri il garrire!
    A notte canteranno i rusignoli:
    Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire;
    I rei fantasmi che da' fondi neri
    De i cuor vostri battuti dal pensier
    Guizzan come da i vostri cimiteri
    Putride fiamme innanzi al passegger.
    Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno,
    Che de le grandi querce a l'ombra stan
    Ammusando i cavalli e intorno intorno
    Tutto è silenzio ne l'ardente pian,
    Ti canteremo noi cipressi i cori
    Che vanno eterni fra la terra e il cielo:
    Da quegli olmi le ninfe usciran fuori
    Te ventilando co 'l lor bianco velo;
    E Pan l'eterno che su l'erme alture
    A quell'ora e ne i pian solingo va
    Il dissidio, o mortal, de le tue cure
    Ne la diva armonia sommergerà. —
    Ed io—Lontano, oltre Apennin, m'aspetta
    La Tittí — rispondea; — lasciatem'ire.
    È la Tittí come una passeretta, 
    Ma non ha penne per il suo vestire. 
    E mangia altro che bacche di cipresso; 
    Né io sono per anche un manzoniano
    Che tiri quattro paghe per il lesso.
    Addio, cipressi! addio, dolce mio piano! — 
    — Che vuoi che diciam dunque al cimitero
    Dove la nonna tua sepolta sta? — 
    E fuggíano, e pareano un corteo nero
    Che brontolando in fretta in fretta va. 
    Di cima al poggio allor, dal cimitero,
    Giú de' cipressi per la verde via,
    Alta, solenne, vestita di nero
    Parvemi riveder nonna Lucia: 
    La signora Lucia, da la cui bocca,
    Tra l'ondeggiar de i candidi capelli,
    La favella toscana, ch'è sí sciocca
    Nel manzonismo de gli stenterelli,
    Canora discendea, co 'l mesto accento 
    De la Versilia che nel cuor mi sta,
    Come da un sirventese del trecento,
    Piena di forza e di soavità. 
    O nonna, o nonna! deh com'era bella
    Quand'ero bimbo! ditemela ancor,
    Ditela a quest'uom savio la novella
    Di lei che cerca il suo perduto amor! 
    — Sette paia di scarpe ho consumate
    Di tutto ferro per te ritrovare: 
    Sette verghe di ferro ho logorate
    Per appoggiarmi nel fatale andare: 
    Sette fiasche di lacrime ho colmate,
    Sette lunghi anni, di lacrime amare:
    Tu dormi a le mie grida disperate,
    E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare. 
    — Deh come bella, o nonna, e come vera
    È la novella ancor! Proprio cosí.
    E quello che cercai mattina e sera
    Tanti e tanti anni in vano, è forse qui,
    Sotto questi cipressi, ove non spero, 
    Ove non penso di posarmi piú: 
    Forse, nonna, è nel vostro cimitero 
    Tra quegli altri cipressi ermo là su. 
    Ansimando fuggía la vaporiera
    Mentr'io cosí piangeva entro il mio cuore;
    E di polledri una leggiadra schiera
    Annitrendo correa lieta al rumore. 
    Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo 
    Rosso e turchino, non si scomodò: 
    Tutto quel chiasso ei non degnò d'un guardo
    E a brucar serio e lento seguitò.



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