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domenica 9 gennaio 2011

Alex Britti e Gabriele D'Annunzio sotto la pioggia

Una delle più belle liriche di D'Annunzio è indiscutibilmente "La pioggia nel pineto", nella quale in un trionfo di Decadentismo l'autore ci immerge in una natura sensuale e struggente, usando la lingua in modo ineguagliabile per la produzione di effetti musicali e visivi unici.
Un capolavoro che, penso, Alex Britti ha letto con piacere, poiché nella sua canzone "Piove" ce ne rimanda l'eco. Si tratta, naturalmente, di due testi per molti aspetti non comparabili: da un lato un grande poeta, che vuol essere un vate, si esalta in toni altisonanti e nobili, lontani dal linguaggio del volgo; dall'altro, un cantautore con atteggiamento dimesso che racconta in modo molto prosastico come cuoce lentamente il sugo nella sua cucina. Due toni, due stili, due persone agli antipodi.
Eppure,
c'è un "filo poetico" che li lega. Prendiamo alcuni versi per un confronto:

Britti comincia: 
Piove 
sui monti e sulle scale 
su petali e parole 
sul cuore mio che batte 
Piove sui poveri soldati 
sui campi abbandonati e sulla mia città. 




D'Annunzio, dall'ottavo verso, dice: 
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove sui pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti




Sembra evidente che Britti ricordi le sapienti ripetizioni dannunziane, a cominciare dalla parola- chiave, "Piove" e le anafore con cui ci viene descritto, oggetto per oggetto, il paesaggio. 
Sembra quasi che il cantautore parta dalla riflessione sulla poesia del vate e cerchi di distaccarsene: piove sui monti (un elemento naturale, come nella poesia dannunziana), ma anche sulle prosastiche scale.
Entrambi si rivolgono alla donna, che c'è eppure non c'è: per Britti è ormai lontana, per D'Annunzio è apparentemente presente, ma si fonde con gli elementi della natura. 


Ma c'è un'altra, più sottile, somiglianza: il tema della parola, che non viene ascoltata o che non viene pronunciata. 

Britti dice all'inizio che sulle sue parole piove, come se fossero qualcosa di statico ed indifeso; poi, verso la fine "
Piove... su ogni mia parola che non riesco a dire": qui la situazione si fa più drammatica, perché non solo la pioggia infierisce sulle parole, quasi lavandole via, ma addirittura scorre indifferente sulle parole non espresse, non ancora nate. 
D'Annunzio, dal canto suo, comincia con: "Taci. Su le soglie/del bosco non odo/ parole che dici/ umane", cioè rifiuta le parole della donna, non vuole sentirle. 
Mi sembra che in questo modo entrambi gli autori uniscano il tema dell'amore con quello dell'incomunicabilità del linguaggio, inutile ed inascoltato.

Un fil rouge, consapevole o meno, che lega i due testi. Forse si potrebbero trovare altri elementi, ad un'analisi testuale più accurata. Ma per il momento non mi spingo oltre. 

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