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sabato 27 novembre 2010

Petrarca - All'inizio del Canzoniere

La lirica che segue è la prima del Canzoniere di Francesco Petrarca e ne costituisce in un certo senso l'introduzione e la chiave di lettura: si sa che l'introduzione è l'ultimo pezzo che si scrive, di solito, in un libro, perché esprime un giudizio sul suo intero contenuto e ne offre  una visione panoramica. E' quindi probabile che questa lirica sia stata scritta in epoca tarda.

Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond'io nudriva 'l core
in su mio primo giovenile errore,
quand'era in parte altr'uom da quel ch'i' sono:

del vario stile ond'io piango e ragiono
fra le vane speranze e 'l van dolore,
ove sia chi per prova intedna amore,
spero trovar pietà, non che perdono.
ma ben veggio or sì come al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente
di me medesmo meco mi vergogno;
e del mio vaneggiar, vergogna è 'l frutto,
e 'l pentérsi, e 'l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.

Il poeta si rivolge direttamente ai lettori delle sue poesie, che egli definisce con modestia "rime sparse", facendo riferimento al titolo latino "Rerum vulgarium fragmenta".
Consapevole della loro armoniosa musicalità, fa riferimento al "suono".
Tuttavia, l'iniziale appello ai lettori resta sospeso, perché la poesia si ripiega sulla riflessione del poeta che medita sui propri errori giovanili: ripete più volte il concetto di vanità, vacuità delle cose umane ("vane speranze", "van dolore", "vaneggiar") e in particolare dell'amore, che è "breve sogno".
Questo è il sonetto del pentimento, dove egli esprime tutta la coscienza e il rimorso per la vicenda d'amore che lo ha occupato per tutta la vita e della quale ci raccontano le liriche che compongono il Canzoniere.
Il sonetto è costruito con grande maestria, secondo lo schema metrico ABBA, ABBA (rime incrociate) per le quartine e CDE, CDE (rime ripetute) per le terzine. La musicalità si gioca nelle ripetizioni e nelle allitterazioni, come nel caso del verso 6, dove il suono di "f", "v", "s", "z" sembra far scivolare via le speranze e il dolore, che non hanno ormai più importanza e sono solo vanità; oppure l'insistenza dell'allitterazione del verso 11, che sembra voler riprodurre il "mea culpa" della messa, con la mano che batte il petto in segno di pentimento.
Il sonetto si gioca sulla contrapposizione tra l'uomo che era e l'uomo che è: nelle quartine si riassume la vicenda interiore (sospiri, primo giovenil errore, speranze, dolore, amore), nelle terzine si insiste sulla situazione della vergogna e del pentimento presente di chi ormai si è staccato dalla vanità del mondo.

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