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lunedì 30 agosto 2010

Artale, il Barocco e i reality show

Giuseppe Artale è un poeta barocco, nato a Castello di Mazzarino nel 1628 e morto a Napoli l'11 febbraio 1689. Nella raccolta L'allor fruttuoso inserisce anche il sonetto Il Mondo:
Mondo è un teatro, in cui tragica scena
ha nel'atto fina crudo accidente

specchio, in cui chi si mira è larva a pena
copia del poco, original del niente;
mondo è un error creduto, e rende in pena
l'ascendente d'un grande astro cadente
e lascia un mausoleo volto in arena,
ente real chimerizzato un ente:
mondo è globbo di vento, e sorte il gira,
fola, che quanto mostra tutto finge;
cigno, che canta irrequieto, e spira.
Mondo è una tela, ove il Destin dipinge,
ma bugia d'un color quanto si mira,
ombra di vanità quanto si stringe.

Appare evidente il carattere tipico della poesia barocca, dal tema dell'esistenza umana inconsistente e vuota, alle immagini che il poeta usa, dalla metafora del teatro a quella dello specchio.
Tipicamente barocco è l'uso delle figure retoriche, fatte di immagini che si susseguono in maniera ridondante, l'indugiare su giochi linguistici e stilistici (come l'ossimoro dell' error creduto, la rima interna di ascendente e cadente, le anafore di mondo e di ente, il doppio significato di copia, intesa come riproduzione e come abbondanza, alla latina, significato quest'ultimo che crea un nuovo ossimoro con poco). Un'analisi accurata richiederebbe tempi e spazi ben maggiori.

Una poesia, quella barocca, lontanissima dalla sensibilità moderna, o almeno così sembrerebbe. Eppure il mondo di oggi si riscopre quanto mai teatro: è il mondo dell'apparire, del mostrarsi ad ogni costo.
A quante manifestazion attuali si addirebbe il verso "copia del poco, original del niente"?
Di quante cose, di quante persone si potrebbe affermare "fola, che quanto mostra tutto finge"?
Nel testo di Artale c'è però anche una sofferenza, un senso della caducità, una consapevolezza della vanità che serpeggia in tutto il barocco migliore e che invece alle attuali manifestazioni di teatralità sembra estranea.
Il senso della fine, il cigno che canta irrequieto e spira, testimoniano il senso dell'ineluttabilità e la  morte, che è lo specchio vero del reale, è ciò che mostra quanto sia vana la vanità che finge di essere qualcosa di consistente.
Oggi, invece, la vacuità diffusa è arrivata al punto da illudersi sulla conquista prossima dell'immortalità, come se la tragica scena, privata della sua tragicità, non dovesse concludersi con alcun atto finale.

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